Il giornale « La Perseveranza » del 6 agosto del 1913 dedica uno spassosissimo articolo ad un movimentato arresto. Si tratta di un episodio esemplare: il vigile infatti riesce dove numerosi soldati hanno fallito, la figura del sorvegliante assume veramente le dimensioni di custode della tranquillità cittadina.
Sotto il clamoroso titolo «Migliaia di spettatori ad una grave scenata in piazza del Duomo il cronista scrive:
“verso le 19 di ieri, mentre la piazza del Duomo era in uno dei suoi momenti di maggior affollamento, una scenata svoltasi nella piazzetta del palazzo reale vi fa convergere a centinaia i curiosi i quali assistettero ad una scena invero strana: molti volonterosi, agenti, guardie, soldati e vigili tutti erano alle prese con un solo uomo! chi era costui? Lo diciamo subito.
I noti pregiudicati Giuseppe ed Ettore Grassi venivano chiamati in Pretura nel pomeriggio di ieri per rispondere di lesioni fatte ad un terzo rimasto sconosciuto. I due, malgrado le loro denega-zioni, furono condannati ad una pena pecuniaria.
Il Giuseppe Grassi che è un vero atleta, o meglio un bruto, andò su tutte le furie per la condanna riportata e non sapendo con chi prendersela, s’attaccò col proprio avvocato. Lo accusò di averlo mal difeso ed invece di ringraziarlo per il disturbo e la noia arrecatagli, gli assestava un fortissimo pugno in mezzo al viso.
La scenata mise a rivoluzione i relativamente tranquilli ambienti della Pretura ed il pretore ordinava a due carabinieri di arrestare il Grassi e di tradurlo nella camera di sicurezza che trovasi negli stessi locali. Così fu fatto ed il Grassi restò in gattabuia a pensare ai fatti suoi per una mezz’ora, poichè avendogli l’avvocato perdonato il mal gesto venne rilasciato.
La rabbia che il Grassi aveva addosso non scemò per la mascalzonata commessa, anzi nella tranquillità della cella si accrebbe a dismisura.
Il fratello Ettore lo aveva pazientemente atteso. I due uscirono dal palazzo in via Sant’Antonio e si diressero in piazza del Duomo. Giunti nella piazza del Palazzo reale si imbatterono proprio nella loro prima –vittima. Non contenti di averla picchiata altra volta e di esserne stati puniti, le saltarono addosso conciandola di santa ragione.
Una guardia di P.S. della sezione I, Vincenzo Pizzuto, di piantone da quelle parti, vedendo i tre uomini a colluttare ferocemente, accorse e, veduto che il Giuseppe Grassi era quello che picchiava più degli altri, animosamente lo affrontava. Ma la robustezza del Pizzuto a nulla valse contro la forza atletica del temuto pregiudicato ed il coraggioso agente riportava numerose ferite e contusioni per calci, e pugni ricevuti. Fra l’altro un fortissimo pugno gli spaccava labbro superiore facendogli schizzar via un dente.
Vistosi così a mal partito, e siccome dalla folla dei primi curiosi accorsi nessuno si moveva per aiutarlo, cioè per pigliarle, egli estrasse la pistola e ne tirò un colpo in aria, sia per intimorire il pregiudicato sia per chiedere aiuto.
Il Grassi si infischiò della detonazione. Però, all’udirla, gli agenti di P.S. Luigi Beltrami ed Angelo Tangani di pattuglia in piazza Duomo accorsero. Nella corsa il” Beltrami distaccava il compagno e giunto primo in soccorso del Pizzuto, affrontava il Grassi ricevendo egli pure la sua dose di pugni e calci.
Il Grassi coll’aiuto del fratello che visto la faccenda aggravarsi aveva preso le sue difese, continuò tranquillamente — è la vera parola — a picchiare non solo il Pizzuto e il Beltrami ma anche il Tangani. I tre agenti, il cui coraggio va riconosciuto, non per questo cedettero, anzi fecero del loro meglio per resistere alla fitta gragnuola di colpi e per arrestare i due. Ma invano. E la folla continuava a circondare i lottatori. Ma nessuno osava intervenire. In quella passavano sei soldati del Reggimento di artiglieria a cavallo.
Come in Ispagna, in soccorso della polizia entrò in scena l’artiglieria. Cioè per essere esatti, in soccorso delle tre guardie vennero i sei cannonieri. I robusti giovanotti, diretti dal caporale Angelo Piazza, si lanciarono sui due Grassi. L’Ettore, vista la partita persa, si dava alla fuga e nessuno pensò di inseguirlo, dato lo stato di parossismo in cui si trovava il Giuseppe. Questi nòn desisteva dalla sua accanita resistenza, benchè affrontato da nove giovanotti ai quali, era ora, si aggiunsero due cittadini: l’impiegato comunale signor Ettore Scarpetti, d’anni 32 abitante in via Spiga n. 7 ed il diciottenne fattorino telegrafico Edoardo Edessi. Era una mischia bestiale, accanita, pazzesca. E la folla, ormai imponente — ma impotente — seguiva ansiosa l’esito della lotta. Oramai gli agenti non potevano più usare le rivoltelle e gli artiglieri le daghe. Essi avrebbero certamente colpito dei compagni di lotta o dei curiosi; non potevano usare essi pure che della forza bruta, ma i loro sforzi disordinati non servivano a nulla contro l’energia sanguinaria del Grassi”.
Dopo un lungo inciso sull’insegnamento della lotta giapponese ai vigili milanesi il cronista così continua: « Ritornando alla scenata che continuava a svolgersi in Piazza del Duomo, diremo ancora che due vigili urbani, Serafino Repossi e Domenico Giovinetti, accorsero essi pure e, fattisi largo tra la folla si avvicinarono ai lottanti ed anzi si mischiarono a questi.
Il Repossi, riuscito a trovarsi un istante a corpo a corpo col Grassi, con un’abile colpo di « jiu jitsu » lo rendeva istantaneamente inabile a commettere qualsiasi violenza. Il Repossi tenendolo sempre alla giapponese lo caricava sulla vettura pubblica N. 58 ove saliva pure un artigliere e, mentre gli altri partecipanti alla lotta facevano da scorta Io tradusse a San Fedele.
Le velleità del Grassi, furente, dopo di aver resistito a tanti, di essere stato ridotto all’impotenza, non erano ancora spente ed all’altezza di via San Raffaele egli tentava di slanciarsi dalla vettura, ma un nuovo colpo di « jiu jitsu » lo faceva rigettare, anche stavolta dolorante, sui cuscini della carrozza ».